Le società in liquidazione e il loro fallimento

I REQUISITI DI FALLIBILITA’ DELLA SOCIETA’ IN LIQUIDAZIONE:
I “RICAVI LORDI”.

L’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, prevede dei requisiti affinchè una Società non sia assoggettabile a fallimento. Questi requisiti sono degli indicatori dimensionali, tali per cui l’ente possa rientrare o meno nel concetto di piccolo imprenditore.

I requisiti dimensionali previsti dall’art. 1 sono: a) aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300 mila; b) aver realizzato nei medesimi tre anni ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a € 200 mila; c) avere un ammontare complessivo di debiti anche non scaduti non superiore a € 500 mila.

Con la sentenza n. 980 del 20/01/2021, la Cassazione prende in considerazione il caso di una società in liquidazione, dichiarata fallita dal Tribunale di Trento perché, dall’esame dei bilanci degli ultimi 3 anni depositati, nell’anno 2014, i ricavi lordi avevano superato il limite di € 200 mila.

1. IL BILANCIO DI ESERCIZIO COME PROVA

La Società che è ricorsa in Cassazione, impugnando la sentenza della Corte d’Appello, aveva rilevato che unicamente per l’esercizio chiuso nel 2014, risultava in bilancio il superamento della soglia dei ricavi lordi (€ 318.000), dovuto ad un errore di appostazione di sopravvenienze attive derivanti dalla dismissione di alcuni cespiti aziendali (macchinari per i quali si era esaurito il periodo di ammortamento), tra i ricavi ordinari (Lett. A dell’art. 2425 c.c. ante riforma) anziché tra i ricavi straordinari ( lett. E dell’art. 2425 c.c ante riforma).

Prima di entrare nel merito della natura dei ricavi, la Cassazione precisa come il bilancio di esercizio costituisce un canale privilegiato per la valutazione dei requisiti di cui all’art. 1 della L.F., in quanto esso è in grado di rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa a cui fa riferimento. Tuttavia, siffatto canale rimane aperto alla valutazione concreta delle singole voci prese in considerazione.

2. I RICAVI PER DISMISSIONE DI BENI AZIENDALI: LA RIFORMA DELL’ART. 2425 c.c.

Nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, occorreva valutare la reale portata dei ricavi straordinari legati alla dismissione dei beni aziendali e che, per il Tribunale e la Corte d’Appello di Trento, non potevano dirsi estranei ai ricavi lordi di cui all’art. 1 della legge fallimentare, ma per la Cassazione non è così.

Se per i giudici di merito, il fatto che l’art. 2425 c.c. sia stato riformato con l’eliminazione della voce E) – che nel testo precedente al 2016 suddetta prevedeva separatamente “proventi e oneri straordinari” – è sintomo del fatto che il legislatore non abbia più voluto distinguere tra ricavi ordinari e ricavi straordinari, per la Cassazione questa impostazione è del tutto errata. Aderendo alla tesi della Società ricorrente, la Cassazione ritiene che l’abolizione della voce E) dall’art. 2425 c.c. non influisce sulla nozione di ricavi lordi prevista dalla legge fallimentare. Da ciò ne consegue che, l’“assimilazione contabile” dei ricavi nel nuovo art. 2425 c.c, non può “determinare alcun allargamento della nozione sostanziale di ricavi”.

3. I RICAVI LORDI E I REQUISITI DI FALLIBILITA’ DELLE SOCIETA’ IN LIQUIDAZIONE

La Corte d’Appello ha altresì sostenuto che, proprio per la finalità liquidatoria della Società, vi è un “ridimensionamento” dei parametri dell’art. 1 della L.F. Se così non fosse, difficilmente i requisiti della fallibilità verrebbero superati, sottraendo gli enti in liquidazione dalle sorti fallimentari.

Anche su questo aspetto la Suprema Corte, si discosta, rilevando come, siffatta impostazione si scontra con i dettami dell’art. 2487 c.c. e dell’art. 2490 comma c.c. la cui lettura porta a ritenere che il sistema vigente distingue l’attività di liquidazione (con la cessione dell’azienda o di rami di essa o ancora di singoli beni) dall’attività necessaria alla conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio.

D’altra parte, il timore paventato dalla Corte Trentina, circa la sottrazione ai parametri fallimentari degli enti in liquidazione, sarebbe scongiurato laddove, comunque i proventi straordinari della cessione dei beni aziendali (come nel caso di specie), farebbero lievitare l’attivo patrimoniale, incidendo sull’altro parametro di cui all’art. 1 lett. A) L.F.

Con la pronuncia in esame la Cassazione ha chiarito come il bilancio d’esercizio, benchè costituisca il documento principe per analizzare i criteri dimensionali di una società, ai fini del rispetto dei limiti di non fallibilità, non può assurgere a natura costitutiva circa le dimensioni dell’ente. La Società può dimostrare “aliunde” (come nel caso di specie), che le voci di bilancio possano essere interpretate, acquisendo una valenza diversa, laddove ci si trovi a discutere sui requisiti di fallibilità. In particolare, per le società in liquidazione è erroneo non distinguere tra attività di liquidazione e attività di conservazione del valore aziendale.

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